Sinceramente trovo molto interessanti le argomentazioni di Fugnoli, in qualche modo e per certi versi condivisibili.
D'altronde, come evidenziato anche dall'analisi tecnica, un break su base weekly - meglio se confermato su base monthly - di area 1600, lascerebbe ampi spazi per un evoluzione verso l'alto tipico delle fasi precedenti lo scoppio della bolla.
Non concordo personalmente, invece, con le conclusioni: "
Mercati che chiedono ad Apple di decapitalizzare e a Deutsche Bank di
ricapitalizzare sono tutto sommato mercati equilibrati ed efficienti che sanno
fare il loro mestiere, che resta pur sempre l’allocazione ottimale delle risorse.
Sono anche mercati che possono salire ancora (meglio se lentamente), aiutati
da banche centrali molto attente a impedire quella deflazione che di solito
non fa bene alle borse."
Di equilibrato ed efficiente non ci vedo proprio niente: semmai di pilotato, controllato e manipolato ci vedo moltissimo, sebbene sia condivisibile l'assioma per cui la liquidità in cerca spasmodica di rendimento non ha altra allocazione ottimale che su questi mercati drogati. Inoltre, che i mercati possano salire ancora, nonostante la lunga corsa - e non parliamo ovviamente del mercato italiano - è senza ombra di dubbio vero, dal punto di vista tecnico, ma dubitiamo che se lo faranno da questi livelli sarà lentamente.
Per finire, l'unica cosa a cui stanno attente le banche centrali, in maniera maniacale, è che la situazione continui a rimanere sotto controllo, sempre e comunque, perchè sanno benissimo che se per qualche motivo dovesse sfuggire al loro controllo, il botto lo sentirebbero da pianeti lontanissimi, e tutto quanto fatto finora, inclusi i disastri sull'economia reale, sarebbe stato totalmente inutile!!!!
"Quando si vuole prendere in giro
un ingegnere si usa dire che noi
viviamo e lui funziona. Noi ci
ammaliamo, mentre lui ha un
malfunzionamento.
Se poi le cose si
mettono proprio male, per noi è la
fine del mondo, mentre lui viene
semplicemente ritirato dalla
circolazione.
L’ingegnere, nel luogo comune,
vede e vive la realtà senza le lenti
deformanti delle emozioni. È un
incrocio tra l’homme machine di La
Mettrie e il vulcaniano Spock (che
essendo per parte di madre terrestre
ha le emozioni, ma le controlla).
Togliere o lasciare le emozioni e i
giudizi di valore nel linguaggio è una
forma di framing, il mettere intorno a
una parola o a un concetto una
cornice positiva, negativa oppure
neutrale.
Se compro il debito del mio paese quando rende molto perché
nessuno lo vuole, sono un patriota se uso un framing positivo, un risk-taker
se uso un framing neutrale e un usuraio speculatore se uso un framing
negativo.
Durante i cicli economici e borsistici si assiste regolarmente a spostamenti
progressivi del framing.
Sono talmente graduali che non ce ne accorgiamo
nemmeno. Osservarli può dare indicazioni preziose per capire in che fase
siamo.
Nella fase finale di un ciclo, quando i mercati sono tipicamente in bolla,
gli spiriti animali di
imprenditori e investitori,
per usare un’espressione
abbastanza neutrale, si
dispiegano liberamente.
La tendenza a fare
acquisizioni a debito
sempre più aggressive e ad
aumentare il rischio e la
leva nei portafogli non
viene mai vissuta o
presentata come perdita
dei freni inibitori o come
avidità, ma facendo
ricorso al termine
ingegneristico di
ottimizzazione.
Se penso che un titolo andrà da 100 a 110 perché investirci solo una parte
dei miei soldi quando posso metterceli tutti?
E perché limitarmi ai soldi che
ho, quando potrei ottimizzare il ritorno sull’investimento prendendone a
prestito degli altri?
Lo slittamento è generalmente collettivo. Coinvolge mercati, policy
maker e organismi di controllo. I primi si scatenano, i secondi allentano
regole e restrizioni, i terzi le applicano con minore severità.
Gli analisti finanziari danno il loro contributo a questa fase di
ubriacatura collettiva criticando, prima sommessamente e poi in modo via
via più perentorio, le società che hanno troppa liquidità e sono gestite con
prudenza.
Quando la bolla è agli inizi si limitano a chiedere che la liquidità
venga spesa in acquisizioni o, in subordine, che venga restituita agli azionisti.
Nella fase avanzata della bolla la richiesta diventa quella di assumere debito
(il massimo possibile) e minimizzare il capitale (con dividendi speciali o
acquisti di azioni proprie) in modo da aumentare il Return on Equity.
I
manager delle società si adeguano, a volte perché le loro retribuzioni sono
legate al Roe, altre volte perché, se non si adeguassero, il consiglio di
amministrazione, l’assemblea degli azionisti o un raider esterno li
caccerebbero, sempre in nome dell’ottimizzazione.
Si sa come finisce. L’eccesso di ottimizzazione rende fragile il sistema, che
implode al primo refolo di vento contrario.
Il crash è come un secchio
d’acqua gelata gettata sulla faccia di qualcuno che ha bevuto troppo.
I
gestori e i trader riducono la leva più in fretta che possono, i politici varano
legislazioni anti-rischio e gli organismi di controllo diventano arcigni e severi.
Gli analisti finanziari contribuiscono al clima di autoflagellazione
bocciando senza pietà le società che hanno un solo centesimo di debito.
Non
sazi, esigono imperiosamente riserve di cash mai viste e aumenti di capitale,
pur sapendo che il cash non rende niente e che è un peccato rivendere azioni
proprie cadute ai minimi quando le si è riacquistate ai massimi poche
settimane prima, durante la bolla.
Quella che durante la bolla era vista come razionale ottimizzazione viene
ora vissuta, con orrore moralistico, come avidità.
Quella che fino a poco
prima veniva vista con disprezzo
come inefficienza, spreco di
capitale, rinuncia a crescere,
pigrizia, inettitudine o paura da
conigli viene ora abbellita con il
concetto ingegneristico di
ridondanza.
Non basta avere un
computer, bisogna averne uno di
back-up nel caso salti la corrente e
meglio ancora se c’è il back-up del
back-up.
Come l’ottimizzazione non ha
mai un limite ex ante, così la
ridondanza può diventare
illimitata, come la paranoia che la
alimenta.
Un sistema, tuttavia,
può collassare anche per eccesso di
ridondanza.
Il nuovo ciclo di crescita e il
bull market azionario iniziati nel
2009 hanno lentamente riportato
il pendolo verso l’ottimizzazione.
Senza entrare nel merito
dell’operazione, è sicuramente un
segno dei tempi che la pressione su Apple da parte di raider, gestori e analisti
abbia alla fine convinto la società a indebitarsi per la prima volta per pagare
dividendi più alti agli azionisti.
Il riformarsi di una voglia di ottimizzazione può essere legittimamente
letto come il segnale dell’inizio di una bolla azionaria.
Il rialzo è del resto al
suo quinto anno di vita, i multipli sono sopra 15, c’è la sensazione che questa
volta sia diversa da tutte le altre perché c’è uno straordinario impegno delle
banche centrali a fornire liquidità e ritirare titoli.
Prima di dichiarare ufficialmente aperta la fase di bolla e prima di
definire di nuovo egemone la cultura dell’ottimizzazione dobbiamo però
tenere presenti due fattori.
Il primo è che, fino a questo momento, la richiesta di più leva e più
rischio viene ancora rivolta in modo selettivo alle sole società che hanno
effettivamente molta liquidità.
In generale, del resto, il mondo corporate è
ancora molto più liquido di quanto non fosse nei cicli precedenti, quanto
meno in America e in Giappone.
Il secondo fattore, ancora più importante, è che mentre da una parte si è
tornati a percorrere la strada dell’ottimizzazione, ci sono ancora forze
importanti che avanzano sulla strada della ridondanza. La pressione per una
ricapitalizzazione delle banche cresce ogni giorno non solo in quell’Europa
dove la sottocapitalizzazione è più che evidente, ma anche negli Stati Uniti,
dove nel 2009 si era già agito in questo senso con energia e tempestività.
Anche sull’onda di libri come The Bankers’ New Clothes, duramente
critici verso i manager che vogliono mantenere alta la leva delle banche, c’è
una forte pressione di
opinione che sostiene il
progetto legislativo
bipartisan che ha buone
probabilità di introdurre
per le 15 banche più
grandi d’America, criteri
di capitalizzazione molto
più severi di quelli di
Basilea 3.
Ancora più dure le
richieste che sta
avanzando Thomas
Hoenig, già falco del
Fomc e oggi direttore del
Fdic (l’ente federale che
assicura i depositi).
Hoenig si batte come un leone per l’abolizione del criterio
della ponderazione degli asset di rischio nel portafoglio delle banche.
Hoenig
chiede in pratica (ed è sempre più ascoltato) che i prestiti erogati dalle
banche vengano calcolati tutti al loro valore nominale complessivo, senza
distinzioni, spesso arbitrarie in quanto lasciate alla valutazione discrezionale
delle banche stesse, sulla loro rischiosità.
Ottimizzare e consolidare, in sé, sono due cose positive. Tutti vorrebbero
di più dell’una e dell’altra ma non tutti realizzano subito il conflitto tra loro.
Ottimizzare fragilizza, consolidare rallenta.
L’America può permettersi
banche che riducono la leva, l’Europa deve fare attenzione. Il fatto che
l’aumento di capitale di Deutsche Bank, considerata l’apripista di un ciclo di
ricapitalizzazioni su tutto il continente, sia stato accolto bene dai mercati è
comunque incoraggiante.
Mercati che chiedono ad Apple di decapitalizzare e a Deutsche Bank di
ricapitalizzare sono tutto sommato mercati equilibrati ed efficienti che sanno
fare il loro mestiere, che resta pur sempre l’allocazione ottimale delle risorse.
Sono anche mercati che possono salire ancora (meglio se lentamente), aiutati
da banche centrali molto attente a impedire quella deflazione che di solito
non fa bene alle borse."
LINK ALL'ARTICOLO ORIGINALE DI FUGNOLI.
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