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venerdì 3 maggio 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: IL CICLO DELL'OTTIMIZZAZIONE E QUELLO DELLA RIDONDANZA

Appuntamento settimanale con il Rosso e il Nero di Alessandro Fugnoli.


Sinceramente trovo molto interessanti le argomentazioni di Fugnoli, in qualche modo e per certi versi condivisibili.

D'altronde, come evidenziato anche dall'analisi tecnica, un break  su  base weekly - meglio se confermato su base monthly - di area 1600, lascerebbe ampi spazi per un evoluzione verso l'alto tipico delle fasi precedenti lo scoppio della bolla.
Non concordo  personalmente, invece, con le conclusioni: "
Mercati che chiedono ad Apple di decapitalizzare e a Deutsche Bank di 

ricapitalizzare sono tutto sommato mercati equilibrati ed efficienti che sanno 

fare il loro mestiere, che resta pur sempre l’allocazione ottimale delle risorse. 



Sono anche mercati che possono salire ancora (meglio se lentamente), aiutati
da banche centrali molto attente a impedire quella deflazione che di solito
non fa bene alle borse."
Di equilibrato ed efficiente non ci vedo proprio niente: semmai di pilotato, controllato e manipolato ci vedo moltissimo, sebbene sia condivisibile l'assioma per cui la liquidità in cerca spasmodica di rendimento non ha altra allocazione ottimale che su questi mercati drogati. Inoltre, che i mercati possano salire ancora, nonostante la lunga corsa - e non parliamo ovviamente del mercato italiano - è senza ombra di dubbio vero, dal punto di vista tecnico, ma dubitiamo che se lo faranno da questi livelli sarà lentamente. 
Per finire, l'unica cosa a cui stanno attente le banche centrali, in maniera maniacale, è che la situazione continui a rimanere sotto controllo, sempre e comunque, perchè sanno benissimo che se per qualche motivo dovesse sfuggire al loro controllo, il botto lo sentirebbero da pianeti lontanissimi, e tutto quanto fatto finora, inclusi i disastri sull'economia reale, sarebbe stato totalmente inutile!!!!


"Quando si vuole prendere in giro 
un ingegnere si usa dire che noi 

viviamo e lui funziona. Noi ci 

ammaliamo, mentre lui ha un 
malfunzionamento. 


Se poi le cose si 
mettono proprio male, per noi è la 
fine del mondo, mentre lui viene 
semplicemente ritirato dalla 
circolazione.




L’ingegnere, nel luogo comune, 
vede e vive la realtà senza le lenti 
deformanti delle emozioni. È un 
incrocio tra l’homme machine di La 

Mettrie e il vulcaniano Spock (che 
essendo per parte di madre terrestre 
ha le emozioni, ma le controlla).




Togliere o lasciare le emozioni e i 
giudizi di valore nel linguaggio è una 
forma di framing, il mettere intorno a 
una parola o a un concetto una 
cornice positiva, negativa oppure 

neutrale.

Se compro il debito del mio paese quando rende molto perché 
nessuno lo vuole, sono un patriota se uso un framing positivo, un risk-taker 

se uso un framing neutrale e un usuraio speculatore se uso un framing 
negativo.


Durante i cicli economici e borsistici si assiste regolarmente a spostamenti 
progressivi del framing. 


Sono talmente graduali che non ce ne accorgiamo 
nemmeno. Osservarli può dare indicazioni preziose per capire in che fase 

siamo.

Nella fase finale di un ciclo, quando i mercati sono tipicamente in bolla, 
gli spiriti animali di 

imprenditori e investitori, 
per usare un’espressione 
abbastanza neutrale, si 

dispiegano liberamente.

La tendenza a fare 
acquisizioni a debito 
sempre più aggressive e ad 
aumentare il rischio e la 

leva nei portafogli non 
viene mai vissuta o 

presentata come perdita 
dei freni inibitori o come 
avidità, ma facendo 
ricorso al termine 

ingegneristico di 
ottimizzazione.




Se penso che un titolo andrà da 100 a 110 perché investirci solo una parte 
dei miei soldi quando posso metterceli tutti?


E perché limitarmi ai soldi che 
ho, quando potrei ottimizzare il ritorno sull’investimento prendendone a 
prestito degli altri?


Lo slittamento è generalmente collettivo. Coinvolge mercati, policy 
maker e organismi di controllo. I primi si scatenano, i secondi allentano 
regole e restrizioni, i terzi le applicano con minore severità.




Gli analisti finanziari danno il loro contributo a questa fase di 
ubriacatura collettiva criticando, prima sommessamente e poi in modo via 

via più perentorio, le società che hanno troppa liquidità e sono gestite con 
prudenza. 


Quando la bolla è agli inizi si limitano a chiedere che la liquidità 
venga spesa in acquisizioni o, in subordine, che venga restituita agli azionisti. 




Nella fase avanzata della bolla la richiesta diventa quella di assumere debito
(il massimo possibile) e minimizzare il capitale (con dividendi speciali o
acquisti di azioni proprie) in modo da aumentare il Return on Equity.

 I 
manager delle società si adeguano, a volte perché le loro retribuzioni sono 

legate al Roe, altre volte perché, se non si adeguassero, il consiglio di 
amministrazione, l’assemblea degli azionisti o un raider esterno li 

caccerebbero, sempre in nome dell’ottimizzazione.

Si sa come finisce. L’eccesso di ottimizzazione rende fragile il sistema, che 
implode al primo refolo di vento contrario. 


Il crash è come un secchio 
d’acqua gelata gettata sulla faccia di qualcuno che ha bevuto troppo.


 I 
gestori e i trader riducono la leva più in fretta che possono, i politici varano 

legislazioni anti-rischio e gli organismi di controllo diventano arcigni e severi.

Gli analisti finanziari contribuiscono al clima di autoflagellazione
bocciando senza pietà le società che hanno un solo centesimo di debito.
 Non 
sazi, esigono imperiosamente riserve di cash mai viste e aumenti di capitale, 

pur sapendo che il cash non rende niente e che è un peccato rivendere azioni 
proprie cadute ai minimi quando le si è riacquistate ai massimi poche 
settimane prima, durante la bolla.




Quella che durante la bolla era vista come razionale ottimizzazione viene 
ora vissuta, con orrore moralistico, come avidità. 


Quella che fino a poco 
prima veniva vista con disprezzo 
come inefficienza, spreco di 
capitale, rinuncia a crescere, 
pigrizia, inettitudine o paura da 
conigli viene ora abbellita con il 

concetto ingegneristico di
ridondanza.

 Non basta avere un 
computer, bisogna averne uno di 
back-up nel caso salti la corrente e 

meglio ancora se c’è il back-up del 
back-up.




Come l’ottimizzazione non ha 
mai un limite ex ante, così la 
ridondanza può diventare 

illimitata, come la paranoia che la 
alimenta. 





Un sistema, tuttavia, 
può collassare anche per eccesso di 
ridondanza.




Il nuovo ciclo di crescita e il 
bull market azionario iniziati nel 
2009 hanno lentamente riportato 
il pendolo verso l’ottimizzazione. 

Senza entrare nel merito 
dell’operazione, è sicuramente un 
segno dei tempi che la pressione su Apple da parte di raider, gestori e analisti 
abbia alla fine convinto la società a indebitarsi per la prima volta per pagare 

dividendi più alti agli azionisti.

Il riformarsi di una voglia di ottimizzazione può essere legittimamente 
letto come il segnale dell’inizio di una bolla azionaria.





 Il rialzo è del resto al 
suo quinto anno di vita, i multipli sono sopra 15, c’è la sensazione che questa 
volta sia diversa da tutte le altre perché c’è uno straordinario impegno delle 

banche centrali a fornire liquidità e ritirare titoli.

Prima di dichiarare ufficialmente aperta la fase di bolla e prima di 
definire di nuovo egemone la cultura dell’ottimizzazione dobbiamo però 

tenere presenti due fattori.

Il primo è che, fino a questo momento, la richiesta di più leva e più 
rischio viene ancora rivolta in modo selettivo alle sole società che hanno 
effettivamente molta liquidità. 


In generale, del resto, il mondo corporate è 

ancora molto più liquido di quanto non fosse nei cicli precedenti, quanto 
meno in America e in Giappone.




Il secondo fattore, ancora più importante, è che mentre da una parte si è 
tornati a percorrere la strada dell’ottimizzazione, ci sono ancora forze 

importanti che avanzano sulla strada della ridondanza. La pressione per una
ricapitalizzazione delle banche cresce ogni giorno non solo in quell’Europa 
dove la sottocapitalizzazione è più che evidente, ma anche negli Stati Uniti, 
dove nel 2009 si era già agito in questo senso con energia e tempestività.




Anche sull’onda di libri come The Bankers’ New Clothes, duramente 
critici verso i manager che vogliono mantenere alta la leva delle banche, c’è 
una forte pressione di 
opinione che sostiene il 
progetto legislativo 
bipartisan che ha buone 

probabilità di introdurre 
per le 15 banche più 

grandi d’America, criteri 
di capitalizzazione molto
più severi di quelli di 
Basilea 3.


Ancora più dure le 
richieste che sta 
avanzando Thomas 
Hoenig, già falco del 
Fomc e oggi direttore del 
Fdic (l’ente federale che 

assicura i depositi).
Hoenig si batte come un leone per l’abolizione del criterio 
della ponderazione degli asset di rischio nel portafoglio delle banche.


 Hoenig 
chiede in pratica (ed è sempre più ascoltato) che i prestiti erogati dalle 

banche vengano calcolati tutti al loro valore nominale complessivo, senza 
distinzioni, spesso arbitrarie in quanto lasciate alla valutazione discrezionale 
delle banche stesse, sulla loro rischiosità.


Ottimizzare e consolidare, in sé, sono due cose positive. Tutti vorrebbero 
di più dell’una e dell’altra ma non tutti realizzano subito il conflitto tra loro. 

Ottimizzare fragilizza, consolidare rallenta.

 L’America può permettersi 
banche che riducono la leva, l’Europa deve fare attenzione. Il fatto che 
l’aumento di capitale di Deutsche Bank, considerata l’apripista di un ciclo di 

ricapitalizzazioni su tutto il continente, sia stato accolto bene dai mercati è 
comunque incoraggiante.




Mercati che chiedono ad Apple di decapitalizzare e a Deutsche Bank di
ricapitalizzare sono tutto sommato mercati equilibrati ed efficienti che sanno 
fare il loro mestiere, che resta pur sempre l’allocazione ottimale delle risorse. 




Sono anche mercati che possono salire ancora (meglio se lentamente), aiutati
da banche centrali molto attente a impedire quella deflazione che di solito
non fa bene alle borse."

LINK ALL'ARTICOLO ORIGINALE DI FUGNOLI.

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