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giovedì 9 maggio 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: PERCHE' NON POSSIAMO FARE COME LA GERMANIA?

Vi segnalo questo bell'articolo pubblicato dal blog Voci dall'estero, davvero ottimo spunto di riflessione.



Buona lettura.


Martin Wolf racconta sul Financial Times il romanzo di centro e periferia, già ben noto a chi segue Bagnai, e avverte che la strategia di trasformare i paesi euro inpiccole repliche della Germania può portare solo a una recessione mondiale





Sintesi e traduzione di Bardamu


L’editorialista del Financial Times Martin Wolf si scaglia contro la ricetta anticrisi «a taglia unica» che l’Europa sta imponendo a tutti i Paesi «maiali»: la crescita trainata dalle esportazioni o, per dirla con i nostri commentatori e opinionisti economici un tanto al chilo, «fare come la Germania».




Scimmiottare il modello tedesco porterà i paesi del sud dell’Europa a una probabile stagnazione che si protrarrà per un bel po’, prevede Wolf. Quali sono i precetti di quello che lui chiama «consenso berlinese» («Berlin consensus»)? Stabilità dei prezzi nel medio termine, pareggio di bilancio e riduzione del debito pubblico, che, nel caso dell’Italia, è una riduzione a tappe forzate, dunque ancora più dolorosa. Le politiche keynesiane di stabilizzazione sono del tutto bandite: e ciò, sostiene Wolf, è il modo migliore per mettersi nei guai.



Il «miracolo» tedesco dell’inizio del secolo è stato possibile solo perseguendo una politica «beggar-thy-neighbour», cioè un’aggressiva concorrenza sleale nei confronti dei Paesi del sud:



"La Germania ha fatto funzionare questo modellostabilizzando l’economia attraverso la bilancia dei pagamenti: l’attivo cresce quando la domanda interna è debole e viceversa. L’economia tedesca è, a prima vista, troppo grande per affidarsi a un meccanismo che è invece tipico di economie piccole e aperte. Eppure è riuscita a farlo, perché si è affidata al suo eccellente comparto manifatturiero orientato alle esportazioni, e alla suacapacità di comprimere i salari. Negli anni duemila, questa combinazione permise al paese di ricuperare l’attivo della bilancia dei pagamenti perduto dopo l’espansione economica in seguito all’unificazione degli anni Novanta. Ciò, a sua volta, ha contribuito a creare una modesta crescita, nonostante l’asfittica domanda interna.


Un tale modello di stabilizzazione funziona bene solo se il Paese che esporta trova mercati esteri vivaci. La bolla finanziaria degli anni duemila ha incoraggiato questa soluzione. Tra il 2000 e il 2007, il saldo delle partite correnti è passato da un disavanzo del 1,7 percento del PIL a un avanzo del 7,5 percento. Nel frattempo, si sono creati dei disavanzi in altri Paesi della zona euro. Nel 2007, il disavanzo delle partite correnti era del 15 percento del PIL in Grecia, del 10 percento in Portogallo e Spagna, del 5 percento in Irlanda."



Giunti a questo punto, Wolf, sebbene non menzioni l’euro come causa, racconta la trama del romanzo di centro e periferia, che i lettori di Goofynomics conoscono bene.



"Dall’altro lato della medaglia di questi enormi disavanzi c’era in gran parte una spesa privata alimentata dal credito. Poi è arrivata la crisi finanziaria globale. Il flusso dei capitali si è arrestato e la spesa privata è crollata. Di conseguenza, si sono creati enormi deficit dei bilanci pubblici."



Il debito che nasce privato muore pubblico, ed ecco allora che il «consenso berlinese» impone a tutti i Paesi in disavanzo politiche di austerità pro-cicliche. Si è insomma scambiato il sintomo con la causa, costringendo Paesi già in seria difficoltà a tagliare i deficit di bilancio nel periodo che va dal 2009 al 2012.



Come se non bastasse, gli stessi Paesi del centro stanno perseguendo la stessa politica di austerità fiscale, mentre la BCE non dà segno d’interessarsi al problema della domanda. Come stupirsi allora, dice Wolf, se il PIL è fermo al palo? Il prodotto interno lordo della zona euro, infatti, nell’ultimo quarto del 2012 era allo stesso livello del penultimo quarto del 2010. Due anni buttati.



E il taglio del tasso d’interesse da parte della BCE non avrà efficacia, perché il rischio deflazione, che si accanirebbe su Paesi già in crisi profonda, è dietro l’angolo, e, anche se si evitasse, la crescita attraverso la domanda dell’eurozona e il riequilibrio interno resterebbe un miraggio, visto che tutti i Paesi tagliano la spesa pubblica nello stesso momento. E allora che si fa?



"Questo consente l'aggiustamento nei conti con l'estero. Secondo l’FMI, quest’anno la Francia sarà il solo grande Paese della zona euro ad avere un passivo delle partite correnti. Entro il 2018, prevede l’FMI, tutti i Paesi della zona euro, tranne la Finlandia, saranno esportatori netti di capitale. La zona euro nel suo complesso avrà un avanzo di partite correnti del 2,5 percento del PIL. Un simile riequilibrio basato sulla domanda estera è perfettamente coerente con una zona euro a immagine e somiglianza della Germania."



Il piddino che credesse ancora alla volontà della Germania di concedere qualcosa ai noi meridionali, farebbe meglio a guardare i dati dello studio della Commissione Europea sugli squilibri macroeconomici: se un disavanzo del 4 percento della bilancia dei pagamenti è considerato squilibrio, il limite è fissato al 6 percento per il surplus. Guarda caso la Germania ha proprio un surplus del 6 percento.



Arrivati a questo punto, dato che la follia degli eurocrati non sembra avere fine, Wolf si chiede quali possano essere gli effetti di una cura tedesca somministrata indistintamente a tutti i PIGS. È presto detto:



"… una stagnazione prolungata è molto probabile nei Paesi colpiti dalla crisi… se la cura comincia a funzionare, l'euro probabilmente si apprezzerà, aumentando il rischio di deflazione… il raggiungimento dell’avanzo nella zona euro produrrà uno shock recessivo nell’economia mondiale. Chi potrà e vorrà compensarlo?"




È sempre la stessa, vecchia domanda: se tutti esportano, chi importa? La strategia alamanna, dunque, non solo non funziona, ma rischia anche di provocare gravissimi squilibri mondiali. Wolf però si dice fiducioso che, quando (e se, aggiungiamo) le classi dirigenti europee comprenderanno le possibili conseguenze di questo modello, ci sarà un urgente bisogno di cambiamento. Forse è troppo ottimista.

In ogni caso, la sua analisi è impeccabile, e anche la sua conclusione, che raramente potremo sentire da un giornalista economico nostrano:



"L’Europa non diventerà una grande Germania. È sciocco crederlo. La zona euro o risolverà i suoi problemi in maniera più equilibrata o si scioglierà. Quale dei due scenari si realizzerà? Questa è la vera grande domanda."

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