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martedì 4 giugno 2013

CONSIGLIO DI LETTURA: UNA "ROAD MAP" DELLA RESISTENZA PER USCIRE DAL "VINCOLO ESTERNO" E TORNARE ALLA COSTITUZIONE

Torniamo a proporvi nei nostri consigli di lettura un bell'articolo proposto dal blog Voci dall'estero.


Sempre interessanti gli spunti di riflessione offerti da questo blog
Buona lettura



"Riproponiamo anche qui la "road map", messa in luce dall'ottimo "faro" Orizzonte48, attraverso i principali ostacoli giuridici ed economici che ci ancorano al "vincolo esterno" e ci impediscono di perseguire gli obiettivi programmativi della nostra Costituzione. Grazie a 48 per rendere sempre più chiare ed esplicite le correzioni necessarie a nuovamente rispettare e rendere efficace la Costituzione






1. AVVERTENZA: la lettura del seguente post è ampiamente agevolata da quella dei post sulla dottrina delle banche centrali indipendenti e di quello "Costituzioni, banche e Sovranità". E' da supporre che molti li abbiano già letti. Comunque rileggerseli rinfresca l'indignazione consapevole :-) (per contrappunto alla triste realtà), mentre leggerseli per la prima volta evita di dover ripetere la dimostrazione di alcuni passaggi e, ai numerosi nuovi arrivati, di "sorprendersi" del perchè le cose stiano andando così orribilmente.





2. Una delle cose che pare proprio non farsi strada nelle menti (decidenti e mediatiche) del PUD€ è che se un paese registra contemporaneamente un deficit di bilancio pubblico e un costante avanzo primario (cioè entrate superiori alle uscite, prima di dover imputare l'onere degli interessi passivi sullo stock pregresso del debito pubblico), la prima e più razionale via di riespansione del PIL (compresso in presenza di un avanzo primario che è legato esclusivamente alla bizzarra idea che occorra abbattere il debito complessivo secondo parametri avulsi dal ciclo) è la eliminazione dell'onere degli interessi passivi.


La qual cosa nelle "menti" del PUD€ è però assunta sempre sulla base del fatto che il problema sia il debito e quindi nel senso che:


- siccome l'onere "eccessivo" degli interessi passivi dipende dagli spread (questione che assume senso solo alla luce della partecipazione all'UEM);


- siccome comunque questo onere è elevato perchè è elevato lo stock del debito (dato che assume senso solo alla lucedell'accumulo di interessi determinato dall'affidamento del loro livello al mercato finanziario privato, cioè del fatidico "divorzio");


- ne consegue che devo abbassare tale stock sia agendo sul flusso che, secondo "loro", lo alimenta - cioè il deficit-indebitamento annuo- intendendo ciò come minore spesa corrente e maggior prelievo tributario (ignorando che il deficit è ormai esclusivamente dovuto...al sistema che ha consentito l'accumulo di debito-interessi) sia direttamente imputando, alla diminuzione del debito complessivo, ricavi da cessione A PRIVATI di asset dell'attivo patrimoniale pubblico ;


- la sola azione di diminuzione del deficit (cioè minori spese e maggiori entrate) avrebbe l'effetto ulteriore di diminuire non solo in sè il flusso di aumento del debito, ma anche gli spread cioè di calmierare l'onere degli interessi (da differenziale con titoli espressi nella stessa valuta ma emessi da altri e più virtuosi paesi, e quindi questione che assume senso solo nell'ambito di tale vincolo monetario);


- la (s)vendita a privati del patrimonio pubblico, poi risulterebbe decisiva per la rapidità dell'effetto di deleveraging che consentirebbe, "di liberare dal bilancio" risorse"...che sabbero comunque destinate a costituire un saldo primario funzionale all'attuale livello di interessi.


Potremmo definire questa strategia "effetto Von Hayek": cioè "limito il perimetro dello Stato" (in termini di flusso e di patrimonio) perchè lo Stato ha deciso che l'inflazione è l'unico nemico da combattere e quindi solo il vincolo di un forte indebitamento verso il settore finanziario privato, meglio se internazionale, può far passare come conveniente questa strategia.
Ovviamente, la strategia del "vincolo" nasce quando rendo indipendente la banca centrale, esentandola dalla la sottoscrizione del debito pubblico corrispondente al deficit, e, simultaneamente, (auto)impongo vincoli di cambio, rendendo la politica monetaria, in ogni suo riflesso di sistema, una rincorsa deflazionista che la "indipendenza" cristallizza in un dogma, alla luce del quale verrà letto per sempre ogni possibile interesse economico nazionale.


3. Questo più o meno l'insieme delle "pensate" con cui si può dire da sempre - intendendo con sempre il lontano crearsi del clima politico che ha portato al divorzio tesoro-bankitalia- cercano di ammanirci le loro meritorie iniziative per "salvarci".


Ovviamente ogni tanto aggiungono la fandonia che non sono più in grado di pagare stipendi e pensioni, nascondendo che, in realtà, quello che minacciano è di non "volerlo" fare, perchè la scelta di non (poter) indebitarsi per fare una spesa pubblica che fronteggi degli obblighi assuntisi dallo Stato, la fanno loro (col "vincolo UEM"), e la scelta di non (poter) emettere moneta, invece di indebitarsi con privati prestatori professionali, sempre loro l'hanno fatta. Notare che la vicenda dei "crediti alle imprese" è un corollario, un'applicazione politica (sempre dettata dal vincolo estero) dello stesso meccanismo.


E quindi se dicono che non "possono" pagare è perchè ritengono giusto il "non voler" pagare, avendo costruito un sistema di leggi e di vincoli sovranazionali, e persino di norme costituzionali di revisione, che gli consentono di "volere ciò",parandosi così le spalle da ogni responsabilità che un assetto redistributivo ben orientato come questo comporta, e facendo apparire il tutto come un fatto indipendente dalla loro volontà.

Come se fosse un evento "cui resisti non potest", alla stregua di unterremoto o un'alluvione. Altre occasioni, queste ultime, in cui ormai affermano che non sono in grado di pagare le spese di soccorso e ricostruzione: sempre per gli stessi identici motivi.


Cioè non "vogliono" in base ad una scelta politica (ben lungi dal non avere alternative), ma, appunto, hanno costruito un sistema di regole presupposte, circondate persino da acclamazione mediatica, che loda la loro pretesa capacità moralizzatrice della spesa pubblica, contro corruzione, sprechi e "clientelismi" (ultimamente è tornato di moda). Alla fine dei "loro" giochi possono dire "Mannaggia ci terrei tanto a ridare un'abitazione alle splendide genti della...(segue nome di regione a caso), a recuperare il suo unico patrimonio artistico e paesaggistico, ma non ci sono soldi: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità".


Come e perchè si sia costruito, in base a precise scelte politiche questo sistema e come abbia causato la schiavitù del debito sulle spalle degli italiani, è più estesamente detto nei post citati in apertura.


4. Ma vediamo quale sarebbe la logica serie di azioni che, seguendo regole economiche razionali e scientificamente fondate sull'osservazione dei dati registrati nei secoli e non sull'osservazione del proprio ombelico (sempre che lo trovino) di "operatori razionali", un governo dovrebbe intraprendere.


Per intaccare uno stock, che si accumula a seguito di un flusso, devo certamente limitare-arrestare quest'ultimo.


Ma se, come abbiamo visto, siamo in situazione di saldo primario, cioè realizzo effettivamente dei risparmi, un attivo, alla fine del ciclo economico pubblico, e il flusso negativo effettivo è determinato esclusivamente dall'onere degli interessi (su questo non c'è dubbio, neanche il PUD€ riesce a negarlo), non mi dovrò curare dello spread, che ovviamente esiste perchè esiste "questo" assetto valutario basato sulla dottrina pura delle BC indipendenti, ma del problema "se" e "come" esista una via effettiva di eliminazione di questo flusso.


Solo dopo che avrò risolto questo problema saprò quale patrimonio sono effettivamente in grado di gestire, con qualeredditività e, per la verità prima ancora, con quali obiettivi.
E siccome sono uno Stato (democratico e fondato sul lavoro: non ci posso fare nulla se è scritto nell'art.1 Cost.), questi obiettivi li devo ritrarre dagli interessi pubblici che sono affidati alla mia cura, e quindi, come sempre, dalla Costituzione.


E attenzione la "redditività" del patrimonio non è qualcosa che sia mai stata indifferente, non essendo in precedenza affidata all'arbitrarietà assoluta di uno Stato che può permettersi qualunque spreco, come ci raccontano, nascondendo la realtà anteriore al divorzio e all'euro sotto un'etichetta di totale inefficienza,. rapportata a mitici e mai realizzati "equilibri ottimali dei mercati". Ciò in quanto la stessa Costituzione obbligava e tutt'ora obbliga lo Stato, sempre e comunque a gestire, cioè ad amministrare, seguendo questi principi:


a) essere al servizio esclusivo della Nazione (art.98 Cost.),regola esplicitata per gli addetti all'"apparato", ma che vale a maggior ragione per il livello politico-istituzionale, tanto che per i relativi addetti la Costituzione non ritiene necessario enunciarlo e si limita a richiedere uno specifico giuramento di fedeltà alla Costituzione...italiana. E quindi tutti gli addetti a tutte le pubbliche funzioni sono vincolati al "servizio esclusivo" dell'interesse nazionale, costantemente e complessivamente, e non di altriinteressi sovranazionali (il che sarebbe ovvio per l'art.11 Cost., ma essendosi entrati in stato "euro-sognante", ciò è stato prontamente dimenticato) e per di più settoriali (e mi riferisco alla "stabilità finanziaria" che ha molto a che vedere con quel modo di organizzare le cose a cui il PUD€ si è vincolato, e che finisce per portare sopra ad ogni altro interesse quello del settore bancario);


b) assicurare il "buon andamento" e la "imparzialità" dell'amministrazione stessa (art.97 Cost.);


Sicuramente questi principi assolutamente vincolanti (ieri e ora e sempre, finchè esisterà questa Costituzione) implicano che dovrò raggiungere:


- prima una certa efficienza di gestione, che significa massimo rendimento delle risorse patrimoniali pubbliche disponibili, compatibilmente con gli obiettivi costituzionali - non necessariamente un profitto, ma almeno evitare la creazione di passivi di gestione, quando sia evitabile con un comportamento diligente e responsabile (art.28 Cost.) che la Costituzione esige senza prefigurare che questo sia possibile solo col "vincolo esterno";


- poi la efficacia della gestione stessa, perchè mi dovrò sempre chiedere (lo impone proprio la Costituzione che è molto più logica di quanto ora vengano a dirvi, e, in ciò, certamente non superata, essendo principi elementari e razionali di ogni organizzazione), se e in che grado sto raggiungendo (efficientemente) gli obiettivi.Obiettivi che altre norme costituzionali, dette, pensate un pò, appunto, "programmatiche" indicano con (sufficiente) precisione (per chi sappia leggerle e leggerle in buona fede).


5. Insomma se in passato, ammesso che sia vero nella misura indicata dal PUD€, ci sono state delle inefficienze, alla luce di criteri di redditività, che, si badi, non fossero giustificati dalla "efficacia", cioè dall'obbligo di raggiungere gli obiettivi programmatici costituzionali, basta riportare la gestione ai criteri stabiliti nella Costituzione, ovviamente anche rafforzando e correggendo le leggi che dovrebbero realizzare "buon andamento", imparzialità", e perseguimento de "l'esclusivo interesse della Nazione".


Non abbandonando il perseguimento di tali obiettivi programmatici come se fosse impossibile ottenerli e ignorandoli, cioè rendendo irrilevanti le norme costituzionali, per sostituirli con l'idea, scritta nei trattati europei, che sia prioritario il raggiungimento della stabilità dei prezzi e della forte competizione su un libero mercato.


6. A questo punto abbiamo sufficienti elementi per dire come potrei agire se volessi rispettare e considerare efficace la Costituzione:


a) occorre riconoscere di non potere, e prima ancora di non "dover", considerare gli interessi sul debito come un onere da sopportare, non appena raggiungano un livello che non consente più di realizzare il dovere primario dello Stato di raggiungere gli obiettivi costituzionali;


b) occorre eliminare l'ostacolo principale a ciò, e quindi l'idea che il deficit annuale sia da finanziare sul libero mercato, all'ammontare di rendimenti che sono ritenuti convenienti da investitori privati, rimuovendo la banca centrale indipendente e riportandola nella sua funzione (costituzionalmente compatibile) di emittente di moneta e di tesorierenell'esclusivo interesse della Nazione.
Che è poi un obbligo che, come abbiamo visto, incombe su ogni tipo di pubblico funzionario, anche sui banchieri centrali: e ciò anche perchè non può essere lasciato a loro stabilire quale sia l'interesse della Nazione, essendo, nel complesso da bilanciare degli interessi-obiettivo sanciti dalla Costituzione, una prerogativa squisitamente politica, e non certo tecnica, che, in democrazia, solo un governo che rispecchi l'orientamento elettorale maggioritario della Nazione stessa, è idoneo ad apprezzare.
Diciamo che i banchieri centrali, nell'apprezzamento tecnico che naturalmente possono esercitare, devono anche essere imparziali: il che può ottenersi solo se abbiano come posizione non tanto l'indipendenza, ma la assoluta fedeltà all'interesse pubblico generale, sintetizzato nell'indirizzo politico democratico, e quindi siano designati e abbiano mandati vincolati esclusivamente da referenti e regole pubblicistiche. Quindi le BC, per oggettivo e sistematico vincolo costituzionale, altrimenti non realizzabile, non possono essere ad azionariato privato, detenuto per di più dai soggetti bancari che dovrebbero "vigilare";


c) occorre effettuare questa operazione doverosa, per non prolungare ulteriormente la illegittimità costituzionale dell'assetto perseguito, eliminando senza indugio tutte le regole che a ciò si oppongono: in specie i trattati internazionali che non possono mai imporre la sospensione della Costituzione rispetto a principi fondamentali espressamente dichiarati inderogabili, quali il sostegno all'occupazione e del relativo reddito(art.4 e 36 Cost.), l'intervento pubblico nell'economia (artt. 41-47 Cost.) per evitare che questa si risolva in disutilità sociale, cioè della stragrande maggioranza della Nazione, nonchè in forme evidenti di violazione della dignità umana (artt.2 e 3 primo comma, Cost.), che è automaticamente violata, secondo la Costituzione, laddove appunto sia registrabile uno stato di disoccupazione, e sotto-occupazione, che renda impossibile rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla partecipazione di tutti i lavoratori e lavoratrici alla vita politica, economica e sociale del Paese (art.3, comma 2, Cost.).
Notare che questa impossibilità di rimuovere gli ostacoli alla "piena partecipazione", può essere espressa proprio come "distanza dei partiti dalla società", come "disaffezione verso le istituzioni", come crisi della "democrazia": cioè è del tutto insufficiente e ipocrita credere che ciò sia effetto solo di problemi di ingegneria istituzionale come la legge elettorale, il numero dei parlamentari, la base territoriale di riferimento delle Camere, la posizione di stabilità-legittimazione del presidente del Consiglio dei ministri rispetto alla fiducia parlamentare.


7. Se questi sono i passi "pregiudiziali" da intraprendere per risolvere la crisi, ammesso che il problema del debito ne sia la causa essenziale, il che non è (ma si tratta di problemi interconnessi e che vengono in luce come un blocco nascente tutto dalla stessa impostazione contraria alla Costituzione), mi ritroverò in questa road-map (dinamica, ovviamente!) operativa:


- denuncia (cioè recesso) dei trattati UE-UEM nelle norme che riguardano l'adesione all'euro, e quindi al SEBC (sistema europeo delle banche centrali), e, comunque, del principio stesso della non finanziabilià degli Stati da parte delle banche centrali;


- obbligo primario di sottoscrizione del debito da parte della banca centrale per una quota consistente, semmai variabile in funzione del progressivo raggiungimento di obiettivi di deficit e di bilancio debitamente stabilizzati e in funzione di condizioni cicliche che possono manifestarsi nel tempo; maanche obbligo di sottoscrizione dei titoli pubblici da parte della banca centrale laddove questi, nella quota variabile dinamicamente fissata dal governo per esigenze cicliche e di redistribuzione del reddito nazionale sottoposte al vaglio del Parlamento, non siano collocabili all'interesse di emissione;


- obbligo della BC di riacquisto di titoli del debito emessi in precedenza a diversi tassi di interesse, secondo misure che possono essere concordate tra banca centrale e i ministri economici, anche in questo caso seguendo un indirizzo sottoposto al vaglio del Parlamento (e considerando il riacquisto pubblico del debito in funzione della "non inflactionary loss absorbing capacity" italiana, stimabile in circa 410 miliardi degli attuali euro,alla luce delle tecniche indicate da Buiter, in proporzione alla nostra partecipazione alla BCE);


- obbligo, del tutto ovvio, della BC di riversare in conto al tesoro gli interessi e i profitti da plusvalenza realizzati nelle varie operazioni di acquisto.


8. Con queste "semplici" misure preliminari di ripristino della realtà operativa monetaria previgente alla trovata del "divorzio tesoro-bankitalia" e del "vincolo esterno", il flusso degli interessi passivi sarebbe ridotto drasticamente e lo stock del debito pubblico sarebbe in rapida diminuzione entro il medio periodo.
Certo questo pone la questione conseguenziale che, in qualche modo, sia mantenuto o meno anche il restante impianto legislativo che si è accompagnato alla indipendenza della BC e al vincolo esterno.
Un sistema che tuttavia si rivelerebbe sovradimensionato alle esigenze costituzionali e di buon andamento dei conti pubblici:, quantomeno da Maastricht in poi, infatti, esso è mirato a realizzare una misura di avanzo primario che non solo, (nella nuova situazione) perderebbe di senso contabile, essendo progressivamente riversata la gran parte dell'onere del debito nelle casse dello Stato, ma, finalmente, perseguibile in funzione anticiclica, cioè modulabile in funzione del raffreddamento o dello stimolo della domanda, a seconda delle esigenze del ciclo erestituendo allo Stato la possibilità di fare politica economica e, ovviamente, anche industriale (dato che anch'essa influisce decisivamente sulla composizione della domanda, indirizzandola verso obiettivi che tengano conto dinamicamente dell'apertura internazionale delle economie).
Quindi, dovendosi tenere conto di questa interdipendenza delle economie, non tutto il sistema legislativo dovrà essere mantenuto.
Con questo non si vuole dire che occorra buttare via tutto quanto fatto in via legislativa dopo il "divorzio", ma il nuovo assetto monetario democratico imporrebbe, sempre in coerenza con il dovere di recupero della legalità costituzionale, di eliminare il superfluo, (ovviamente con oculatezza, dettata dal dovere di perseguire l'interesse della Nazione).
Perciò, sarebbero da reintrodurre tutte quelle misure che consentivano di rispettare il principio centrale "lavoristico" - il più importante dei diritti fondamentali (non cosmetici) della nostra Costituzione.


9. In particolare:


a) poichè una componente immancabile del deficit è determinata dal saldo negativo della bilancia dei pagamenti [(G-T)= (S-I)-(X-M)], dovrò essere in grado di agire su questo elemento, consentendo gli aggiustamenti del cambio che riportino in equilibrio la stessa bdp: cosa che rafforza la soluzione di uscita dall'euro, come abbiamo visto, che già sul piano delle regole di finanziamento del deficit pubblico e della corretta politica monetaria, essendoci una imprenscindibile volontà politica (democratica), risolve in sè anche la questione del ridimensionamento del debito;


b) poichè, e non va ignorato, il sistema industriale recupera la competitività, e quindi l'occupazione, non solo in base al livello di cambio, ma anche e specialmente, nel medio e lungo periodo, per la sua produttività, che dipende sia dai consumi interni (cioè dal grado di utilizzo degli impianti esistenti), che dagli investimenti (cioè dal grado di creazione di nuovi impianti e di sostituzione-innovazione degli esistenti), sarà da riespandere la spesa pubblica e attenuare la pressione fiscale in una misura che consenta di raggiungere tali obiettivi.
E d'altra parte il folle sistema fiscale italiano è l'altra faccia della medaglia della situazione conseguente al divorzio. Simul stabunt, simul cadent.
Ciò va compiuto progessivamente ma con intensità pari a quanta parte dell'onere del debito avrò "prosciugato" e quindi liberato dalla sua incidenza sull'ammontare del deficit pubblico, che potrà riespandersi nella sua "sostanza", più che nell'ammontare assoluto (al netto dei diminuiti oneri del debito), e quindi tradursi in risparmio privato (non esclusivamente finanziario, cioè come preconizzavano gli artt.45 e 46 Cost.) e da questo in investimenti, riorientati verso il sistema produttivo proprio dalla spesa pubblica di sostegno a consumi e investimenti;


c) per garantire questa riacquistata tendenza produttivistica degli effetti della politica fiscale e dell'impiego del risparmio, sarà naturale riconsiderare la tipologia ammessa, dalle pubbliche autorità regolatrici del settore, dei soggetti bancari: cioè sancendo una differenziazione netta tra banche commerciali e banche di investimento finanziario. In sintesi, "risalendo" alla legge bancaria del 1936, e dandole semmai piena attuazione circa l'attività, volta proprio al "buon andamento" nell'interesse della Nazione, della politica monetaria e del credito, facendo funzionare meglio e con adeguata trasparenza e accountability democratica, i comitati interministeriali che definivano gli indirizzi su cui la banca centrale dovrebbe vigilare;


d) poichè il recupero della valuta nazionale può indubbiamente condurre a spinte inflattive, tanto meno rilevanti quanto più la produzione interna saprà riappropriarsi della domanda(correggendo, nel medio periodo, l'indebolimento di cambio necessario al riequilibrio della competitvità e quindi autocorreggendo la stessa parziale trasmissione inflattiva in ciò insita), il sostegno alla domanda dovrà essere perseguito anche in termini "reali" cioè di reddito disponibile al netto dell'inflazione, stabilendo meccanismi di indicizzazione salariale rapportati all'inflazione attesa e accortamente programmata.
Questa sarà tanto minore, come incidenza negativa - chesi avverte solo a tassi ampiamente superiori all'attuale e in assenza di interventi pubblici quali quelli qui suggeriti- , quanto maggiore la ripresa produttiva, dell'occupazione e in generale, della effettiva produttività, consentita dal combinato tra flessibilità del cambio e intervento pubblico di sblocco degli investimenti e dei consumi, sblocco a sua volta connesso alla possibilità del deficit di realizzarsi in una misura che rispecchi la crescita effettiva del reddito nazionale, e non invece, come ora, l'onere degli interessi non coperti da un avanzo primario non sostenibile e comunque correlato esclusivamente alle esigenze del vincolo monetario esterno, anzichè a prudenti politiche anticicliche;


e) poichè il livello della spesa pubblica sarà riespandibileal netto dell'onere degli interessi, limitati progressivamente nella loro incidenza causativa del deficit, (riespandibile in termini assoluti, perchè innescandosi la crescita, in percentuale al PIL essa diminuirebbe o rimarrebbe costante), l'insieme dei meccanismi dispending review assumerebbero senso nella loro reale funzione.
Che è vedere come si può spendere meglio, lasciando inalterato il livello della spesa, senza "sprechi", - una buona parte dei quali è peraltro imputabile alla stessa logica della riduzione della spesa, che non consente adeguata programmazione nel tempo e meno che mai l'acquisizione di competenze nei decidenti pubblici! La funzione della spending review, quindi, non è quella di tagliare esclusivamente e in modo lineare e prociclico la spesa stessa, per esigenze di cassa dettate dai creditori dello Stato, cioè dello stesso sistema bancario, e per di più per un debito in origine determinato da squilibri commerciali dovuti alla moneta unica.


10. Il bilancio pubblico italiano attuale, di sicuro virtuoso anche comparato con gli altri paesi europei -(eccettuata la Germania, drogata però dal controllo imperialista-commerciale dell'area euro e quindi con un vantaggio strutturato che è sicuramente delimitato dall'esistenza dell'euro stesso), che non realizzano da 20 anni avanzi primari paragonabili ai nostri (si veda come lo sviluppo francese sia stato comparativamente migliore proprio perchè non ha seguito la logica dell'avanzo primario ad ogni costo, allargando peraltro abbondantemente il debito a seguito dell'entrata nell'UEM)-, non verrebbe cambiato radicalmente solo perchè si avrebbe un cambio monetario flessibile e un deficit orientato alla spesa nell'economia reale, anzichè a corrispondere interessi ai privati detentori del debito.
Quello che si avrebbe è una diversa distribuzione del reddito nazionale, ma in presenza di una ritrovata crescita secondo la ragionevole vocazione italiana, derivante da elementi strutturali esenti da ogni considerazione "moralistica" e razzistica (cioè secondo "l'interesse della Nazione"), spostandosi lo "squilibrio" attuale dalle rendite finanziarie e di posizione, - legate alle infauste privatizzazioni, argomento affrontabile in un secondo tempo- alle imprese manifatturiere e al lavoro dipendente.
Con grande giovamento per la crescita duratura, ma lasciando sicuramente scontenti i percettori attuali delle rendite."


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